Cari lettori, oggi desideriamo trasportarvi dall’altra parte.
Siamo una generazione di famiglie adottive fortunate: capitiamo in un momento “storico” che ci offre la grande opportunità di dialogare con i protagonisti dell’adozione – i figli cresciuti. I bambini adottati in Italia dalla fine degli anni 80 sono adulti, guardano al proprio percorso con sguardo maturo. Sanno individuare quali esperienze siano state positive, formative; quali al contrario dolorose o frutto di pregiudizio. Alcuni di loro desiderano condividere la propria esperienza, lo fanno attraverso i social, i video su YouTube, i libri.
Ci siamo accorti che c’è tanto su cui riflettere, e tanto da imparare per coloro che si pongono in un atteggiamento di ascolto.
Non sempre le loro parole sono “comode”, anzi, talvolta ci obbligano a ripensare al nostro ruolo ed alle modalità con cui ci relazioniamo con i nostri figli.
Ci ricordano che, seppure la narrazione sia stata per oltre un ventennio per lo più genitore-centrica, un ruolo paritario spetta a loro: i protagonisti della storia.
Una storia che può non avere sempre lieto fine (ancora, dal punto di vista del genitore, o a partire da una concezione di relazione genitori-figli idealizzata).
Una storia che si rende autonoma dal racconto che elaborano i genitori per i loro piccoli, e diventa LA storia di una vita, comprensiva anche del tempo che precede l’adozione.
La crescita ha tappe, momenti di evoluzione, tempi, significati differenti per ciascuno. Le interviste che seguiranno non hanno lo scopo di fissare nero su bianco verità assolute: si tratta di esperienze di vita vissuta di singoli individui.
L’invito, quando ci approcciamo all’ascolto o alla lettura, è innanzitutto quello di spogliarsi dei pregiudizi. Di fronte alle loro parole potranno sorgere reazioni confortevoli, potremmo sentirci compiaciuti o, al contrario, potremmo sentirci presi alla sprovvista, arrabbiati, addolorati, non riconosciuti nei nostri sforzi, non gratificati. Come si sentono invece i nostri figli?
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Mamma com’ero nella tua pancia? Ti tiravo tanti calci? Parlavi con me? Mi accarezzavi? Abbracciavi la tua pancia? Come hai vissuto mentre mi aspettavi? Hai sofferto tanto? Come è stato attendermi? Com’ero mamma? Dimmi. A chi assomiglio? Da chi ho preso il mio modo di essere? Cosa mangiavi? Cosa mi piaceva tanto che ti chiedevo con le tue ”voglie”? E papà? Era con te? Ti abbracciava? Era felice di avere una bambina primogenita? Direi di sì mamma, perché sono venuta al mondo e mi avete tenuta, amata e istruita. E dei miei fratelli? Dimmi, ve li chiedevo? Mamma quando arriva un fratellino, o una sorellina? Mamma, se lo dici lentamente sembra il rumore di un’onda che ti spinge verso la riva, richiamandoti poi a sé. Mamma.
“Mio carissimo Futuro, Eccomi.
Non esistono coincidenze, so che per qualche motivo ogni passo che ho fatto da quando ho imparato a camminare, era un passo verso di te.
Era difficile immaginarti dentro un cammino che ha per sempre cambiato la mia vita. Sono partita da molto lontano, il mio corpo ha protetto i miei sogni, li ha cullati con musica natìa. Nel silenzio del Presente, nelle mancanze, nei vuoti, li ho fatti crescere, al riparo. I sogni mi hanno dato la forza di andare avanti, mi hanno fatto sperare in te, Futuro, e lottare per te.
Ho lottato tanto perché ti desideravo davvero. L’avverarsi di te dipendeva unicamente da me, dalla volontà che ci avrei messo, nonostante l’entropia, dentro e fuori. Ma io ti volevo, lo giuro.
Nessuno credeva che, io nata femmina, senza nessuno accanto in questa parte di mondo, avrei reso te, reale.
Non ho mai voluto che qualcuno mi salvasse. Sono nata femmina sì, ma sono diventata una donna forte e determinata. Mi sono dovuta fare da madre, da padre e da figlia. Ho salvato te e ho preso consapevolezza di me. Non è una colpa, una debolezza o uno sbaglio nascere donne e avere dei sogni. Che fatica Futuro, fare questi passi verso di te.
Ti ho intravisto nell’incrocio di un altro cammino con passi incerti. Perché tu diventassi il Noi, perché ci fosse spazio per te nei nostri cammini, abbiamo proseguito in solitaria senza allontanarci. Non ti abbiamo perso di vista.
In quei 7 chilometri di una sera Meneghina di Febbraio, abbiamo deciso di lasciare due orme nella vita, camminando accanto. Perché l’amore non è rincorrersi e pretendere, ma attendersi per camminare insieme.”
Ciò che mi ha colpito di più è stato questo: che le facessi già pena ancora prima di vedermi. Il suo atteggiamento iniziale verso di me in quanto africana, era una specie di pietà paternalistica e benintenzionata. […] Raccontare un’unica storia crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano la storia in un’unica storia.