Chi è Espérance Hakuzwimana Ripanti?

(E perché desideriamo tanto che la conosciate). Breve introduzione in attesa del nostro incontro presso la Sala del Giudizio del Museo della Città di Rimini: Sabato 11 gennaio 2020 ore 17.

 

 

 

 

Espérance Hakuzwimana Ripanti (Rubaya, 1991) vive a Torino; scrive, legge tantissimo e conduce Bookcrossing, un programma che parla di libri su Radio Beckwith. Collabora con associazioni per i diritti umani, tra le quali Razzismo Brutta Storia, e della realtà adottiva. Il suo racconto “Lamiere” è parte della raccolta Future. Il domani narrato dalle voci di oggi, a cura di Igiaba Scego (effequ, 2019). Lo scorso ottobre è uscito il suo primo libro: E poi Basta. Manifesto di una donna nera italiana, edito da People.

 

È da tutta la vita che sono una persona nera. Non l’ho scelto ma so benissimo cosa vuol dire. Spesso però sono gli altri a non saperlo, a dimenticarlo. Sono nera, italiana, donna, e scrivo.

Espérance è stata ospite de L’Assedio di Daria Bignardi (canale Nove, 6 novembre 2019 – qui il link al video) ed ha raccontato con grande lucidità quali siano le ragioni del suo attivismo. Non una vocazione – ma una necessità – che ha avuto una precisa data di inizio.

 

Poi, a un certo punto, essere nera e donna è diventato doloroso e ingombrante, faticoso, fuori luogo, pericoloso, e tanto altro. Io che volevo solo restarmene sul parquet di una camera in affitto a leggere tutti i libri del mondo, e il mondo invece ha iniziato a disturbarmi per chiedermi chi ossi, cosa volessi, per cosa avrei dovuto chiedere scusa e quando me ne sarei andata.

Cosa accade infatti quando un figlio adottato nero che cresce in un contesto di persone bianche realizza la propria diversità, ne sperimenta l’eccezionalità, ne subisce la discriminazione?

Espérance è cresciuta fino a 8 anni, dice, sentendosi bianca. Scampata al genocidio che insanguinò la sua terra d’origine, il Ruanda, ed atterrata in Italia con altri 40 bambini provenienti dallo stesso orfanotrofio, trascorse quasi un anno nel centro di accoglienza allestito per l’occorrenza in provincia di Brescia. Poi venne adottata da una coppia di volontari che operavano in quella stessa struttura.

 

Sono cresciuta tra persone bianche, in una tonalità che non mi apparteneva perché opposta alla mia ma anche l’unica. E in tutto quel bianco mi sono tuffata come “un chicco di uvetta in un bicchiere di latte”. Pensando che fosse normale. E lo era: perché non avevo alternativa, non conoscevo altro, la mia consapevolezza aveva ricevuto fin troppi strappetti e preferivo non pormi il problema di essere diversa.

All’età di 8 anni, appunto, scopre il cartone animato La gabbianella e il gatto. E qualcosa succede: Espérance per la prima volta si percepisce diversa.

 

Quando appaio in paese con i miei capelli ricci e la mia pelle scura non è né strano né difficile: solo diverso.

 

La mia storia è mia e quanto ci ho sofferto e riso su lo so solo io, e quello che scelgo di raccontare appartiene a me e può essere capito e non capito, condiviso o non condiviso, vissuto o non vissuto ma comunque, alla fine, rimane mio. E se una cosa è tua vuol dire che ce l’hai dentro e con te cresce, soffre, si trasforma e ti trasforma. Il mio essere donna mia ha trasformato; il mio essere donna e nera mi ha formato negli insulti, negli approcci sessuali degli altri, nel disprezzo, nel pregiudizio e nella mancata considerazione. La mia storia è mia, ed è donna; come la parola, come la rivoluzione e la resistenza. E anche per questo mi piace da morire.

L’Italia è un paese razzista? E noi, quanto lo siamo, più o meno consapevolmente?

 

C’è una narrazione sbagliata e carica d’odio che sta iniziando a rendere difficile la vita di chi, come me, in questo Paese ci è cresciuto e vuole considerarlo “proprio”. Perché, in chi non ha gli strumenti per comprendere e per capire tutto, si sta insinuando l’idea che l’origine o il colore di un corpo siano molto più importanti della sua dignità e della sua vita. E non è giusto, è terrificante e soprattutto non è una realtà con cui sono disposta a convivere.

Espérance ci invita a riflettere sui nostri atteggiamenti automatici, sulle espressioni che comunemente utilizziamo, e sui pregiudizi radicati, frutto di una cultura post-coloniale che è più diffusa di quanto crediamo.

 

È pesante dover rispondere quotidianamente alla domanda: ‘Da dove vieni?’

 

Se un uomo di cinquant’anni mi vede alla fermata del bus e mi scambia per una prostituta, quando invece vorrei solo andarmene a casa a leggere un libro, significa che in questo paese c’è un problema.

Il nostro invito, insieme alla partecipazione all’incontro del prossimo 11 gennaio presso la Sala del Giudizio del Museo della Città di Rimini, è quello di cogliere questa occasione (e questa lettura) per ascoltare, rispettare, fare tesoro. L’intervista sarà curata da Alice Bigli, libraia e madre adottiva. Ci sarà spazio per le domande e le vostre riflessioni.

Grazie Espérance, a presto!

 

Ti chiedo solo questo. Racconta questa mia paura e insieme trasformiamola in forza. Fa’ luce su questa realtà che è diventata ormai quotidiana per me e per un sacco di altre vite, e che rimane sconosciuta agli altri.
Io sto usando tutta la voce che ho e anche il tempo, ma non sono abbastanza. Con qualcosa di minuscolo possiamo fare folla, possiamo fare luce e cambiare le cose.
Questa volta per davvero.