In un viaggio spazio-temporale a cavallo dell’Oceano Atlantico tra l’Ottocento e i giorni nostri, attraverso l’arte, quella prodotta dalla protagonista – Lafanu Brown – e la storia dell’arte, l’autrice indaga i luoghi comuni ed i pregiudizi razziali che il corpo nero porta con sé. L’intuizione è essa stessa un’immagine, un particolare che solitamente sfugge agli occhi distratti dei passanti: la Fontana di Marino. Vi sono scolpiti quattro “mori” incatenati, piegati, che in occasione della Sagra dell’Uva diventano centrali nei festeggiamenti…senza che nessuno si accorga della disperazione che vi è ritratta.
La voce narrante è quella di Leila, donna nera in possesso di un passaporto “forte” e quindi libera di viaggiare ed esplorare, tanto da imbattersi nella storia di Lafanu Brown. Lafanu è una donna nera che lotta, a pochi anni dall’abolizione della schiavitù, per coltivare la propria arte e perseguire la libertà, prima sul suolo americano, poi su quello italiano. La sua vicenda migratoria si alterna a quella contemporanea di Binti, che dalla Somalia vorrebbe fuggire, e intraprende un tragico viaggio attraverso il deserto e le brutalità dei trafficanti di uomini: il suo non è un passaporto ritenuto desiderabile, non le è permesso un visto.
Grazie al romanzo di Igiaba Scego è possibile fare luce su alcuni aspetti della storia coloniale e della storia dell’arte, per rendersi conto di quanto, tuttora, il diritto al viaggio e quello alla cittadinanza siano privilegi del bianco, o concessi a pochi fortunati.