Una madre e un padre disposti ad andare in capo al mondo pur di diventare genitori. Tre bambini che i genitori, invece, non li hanno avuti mai.
Tra loro migliaia di chilometri, che poi è la distanza più semplice da colmare. Perché, in mezzo, ci sono burocrazie da sconfiggere, pregiudizi da abbattere, assistenti sociali da convincere; e tempo, tanto tempo da far passare in un’attesa che ha ben poco di dolce.
Almeno fino a quando un giudice non sancisce un vincolo capace di superare la presunta naturalità del sangue con la potenza degli affetti.
In “Il mare non chiude mai” Amaltea – lo pseudonimo dietro cui l’autrice si cela per ragioni di privacy – ci racconta proprio questo, e tutto quel che ne consegue: che cosa significa trovarsi madre di tre bambini all’improvviso, senza l’esperienza del pancione a traghettare noi e gli altri?
Ma confrontandosi con i problemi particolari che la scelta adottiva pone, Amaltea ci parla anche e soprattutto dell’essere genitori in sé, nella sua accezione più universale e insieme più quotidiana, con tutto quel bagaglio di domande, aspettative, paure e gioie che poco hanno a che fare con il modo in cui i figli sono entrati nella nostra vita. Perché, se figli si nasce, genitori si diventa.